lunedì 10 febbraio 2014

Piazza Vittorio Emanuele II: addenda e corrigenda.

Rileggendo il mio primo intervento mi sono accorto della mancanza di alcuni fondamentali dettagli, che aggiungerò ora come indispensabile corredo.

Gaetano e Joseph Anton Koch?

Ritratto di Gaetano Koch ad opera di Giovanni Capranesi dall'Accademia di San Luca.
L'architetto Gaetano Koch, come si vede da questo ritratto, non era affatto di razza latina: suo nonno era Joseph Anton Koch, nato nel Tirolo austriaco nel 1768. Egli è importante perché fu, nei suoi anni, un pittore molto affermato (ancora oggi esiste un suo ritratto presso il Caffè Greco), amico caro di Bertel Thorvaldsen (con cui condivise l'alloggio a via Sistina) e punto di riferimento, sia per le sue doti di paesaggista (era contadino figlio di contadini) sia per le sue doti compositive, per tutti i Tedeschi a Roma e soprattutto dei Nazareni di Friedrich Overbeck, con i quali lavorò alla decorazione del casino Massimo nel 1819.
Paesaggio con arcobaleno di Joseph Anton Koch.
A lui fu affidato il ciclo di affreschi raffiguranti la Divina Commedia: è notevole evidenziare come egli lavorasse ad affresco per la prima volta in questa occasione, a quanto mi si riferisce, alla bella età di 57 anni ed è notevole evidenziare la forte qualità espressiva del suo stile.

Il figlio Augusto gli diede poi per nipote Gaetano Koch. Egli fu accademico di San Luca e, a quanto mi risulta ( http://books.google.it/books?id=KOy_q2HIzgMC&pg=PT347&lpg=PT347&dq=gaetano+koch+accademia+di+san+luca&source=bl&ots=D4ECIWa3M6&sig=EJN5s2edxSKb1EAAi0E75kuV_4M&hl=it&sa=X&ei=xrz4UrTSCeOG4gSy24GwAw&ved=0CGwQ6AEwBw#v=onepage&q=gaetano%20koch%20accademia%20di%20san%20luca&f=false ), cominciò a lavorare appena laureato, nel 1872 (...poteva già aver edificato un edificio a 21 anni?).
Lo ricordiamo inoltre come l'architetto di Piazza dell'Esedra, oggi Piazza della Repubblica, e come uno dei condirettori, assieme a Manfredo Manfredi e Pio Piacentini, dei lavori per l'Altare della Patria dopo la morte del suo progettista, Giuseppe Sacconi.

Colpisce molto la differenza che passa tra nonno e nipote: bucolico, fantastico ed espressivo il primo; razionale costruttore, eclettico decoratore e "moderno" il secondo. Se si vuole intendere almeno un po' lo shock anafilattico che fu l'arrivo dei Savoia per la Roma del Papa-Re si confrontino i due personaggi.

Addenda et corrigenda.

Non ho enfatizzato abbastanza l'importanza che rivestì Piazza Vittorio Emanuele II per il programma edilizio della Roma sabauda.

Lo sbancamento della collina: il caso di Sant'Eusebio.
A Roma le ambizioni edilizie dei sovrani che volevano manifestare chiaramente il "nuovo corso" rappresentato dal loro regno si è sempre scontrato, sin dall'epoca più antica, con la conformazione dei sette colli: come non ricordare ad esempio lo sbancamento della Sella Quirinalis, che connetteva Quirinale e Campidoglio, per costruire il Foro di Traiano?
Stessa cosa fecero i Piemontesi a Roma: il colle Esquilino, come si nota ancora oggi, non ha una forma molto regolare e questo disturbava particolarmente i progetti edilizi per l'edificando quartiere residenziale, che doveva essere il più comodo possibile e doveva permettere la maggiore monumentalità possibile. Si ricordi che la Roma di Pio IX non aveva una borghesia organizzata e che la monumentalità del Campo Marzio era spiccatamente aristocratica, finalizzata all'annichilimento del singolo di fronte al Papa-Re e alla sua Corte (mai più appropriata fu la frase di Alberto Sordi nel Marchese del Grillo: "Perché io so' io, e voi nun siete un cazzo!"): come fece presente anche Giuseppe Ungaretti nel parlare della sua poesia, una architettura urbana di questo tipo tende a rendere insignificante ogni tentativo di cambiamento o di innovazione: la Roma di Pio IX è un perfetto microcosmo autosufficiente.
I Savoia voglio spezzare questo monismo e l'unico modo è creare una seconda Piazza del Popolo potenziata (si noti: Piazza Vittorio ha un doppio tridente di strade che partono dai suoi lati brevi) che parli però un linguaggio eminentemente borghese e che mostri la borghesia come la nuova aristocrazia del Regno (chi non ricorda Il Gattopardo e l'analisi lucidissima dell'evoluzione della società?).

A chi oggi volesse cogliere cosa resta del vecchio colle non resterebbe che osservare il pino presente sui "Trofei di Mario" e constatare quanto sia sopraelevato rispetto al terreno e la chiesa di Sant'Eusebio, la cui scalinata è decisamente sabauda:
Ah, la chiesa prima dell'arrivo dei Piemontesi sorgeva in posizione isolata...
Questo dovrebbe far capire che in effetti una chiesa a Piazza Vittorio Emanuele II c'è, ma che effettivamente è talmente ben nascosta da non notarsi quasi mai.

Piazza Vittorio come era + un confronto con Piazza Statuto a Torino.
Risulta infine opportuno, per capire davvero il valore artistico di Piazza Vittorio, ricordare come era e confrontarla poi con Piazza Statuto, anche essa ripresa come era, nel lontano 1865.

Come si può ben notare le due piazze appaiono decisamente molto simili: c'è però da notare la maggiore varietà, piena di romanità, di Piazza Vittorio e la più proporzionata regolarità di Piazza dello Statuto.
Personalmente trovo molto più bella Piazza dello Statuto: non solo per la maggiore varietà cromatica, ma anche per la migliore coerenza stilistica (non tutti i matrimoni, in effetti, finiscono bene) e per la migliore moderazione, tipicamente piemontese e tipicamente in concordanza con il resto della città.
Sospetto che, oltre a Koch, gli altri artefici di Piazza Vittorio fossero decisamente dell'Italia Centrale: ciò spiegherebbe l'effetto dello stile così particolare della piazza, tipico di chi parla un linguaggio che non gli è proprio e lo adatta alla propria fonetica nativa.
Ma queste sono solo ipotesi.
Il punto a favore della Piazza Vittorio è il giardino, di cui parleremo nella terza puntata.

1 commento:

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