venerdì 9 maggio 2014

Cartolina eclettica: l'artista Iride.

L'autore di Stile Eclettico Romano è un flaneur: viaggia per Roma e scrive qui ciò che più lo colpisce, riservando studii più scientifici ad altre destinazioni ancora, ahinoi, al di là da venire.
Per questo motivo ritiene molto opportuna una diversione dall'architettura per recensire una giovane artista, le cui opere hanno molto colpito il suo occhio. Il suo pseudonimo è Iride e potete trovare le sue opere qui  https://www.facebook.com/iride.artworks?fref=ts.
Iride, o Alessia, è una giovane pittrice di ventitré anni e una surfista; ama molto Alphonse Mucha e la pop art e gestisce con suo padre un "surf-pub" nel rione Monti chiamato "Il Bracolo", nel quale sono esposti diversi quadri: suoi e di altri artisti, a quanto mi risulta. E' inoltre parte dei 100 pittori di via Margutta.

Si forma in un contesto decisamente accademico come l'Accademia di Ripetta, ma poi sceglie di continuare come autodidatta. L'arte che produce è pertanto un interessante connubio tra il liberty e la pop art, con più di un riferimento alla fotografia e, per ciò stesso, alla contemporaneità.

Un quadro che compendia bene lo spirito eclettico di Iride è questo ritratto di "Fabrizia".
La giovane fanciulla è inequivocabilmente nostra contemporanea: lo dimostrano gli occhiali molto grandi, lo sguardo consapevole della propria femminilità, l'abbigliamento e l'acconciatura.
Tuttavia Fabrizia diventa un'icona atemporale nel momento in cui gli accenni di realismo iniziano a venir meno e Iride sceglie di ripiegare, come è prassi nel Liberty, sulla linea e sui colori accesi.
[Lichtenstein,Roy+-+M-maybe+1.jpg]
Ciò che, però, la conduce sulla strada del pop è la perdita di qualsivoglia traccia di ombreggiatura, come in Roy Lichtenstein, e la concentrazione sull'espressione: riducendo tutto a un discorso di linee e colori accesi, tra i quali spiccano i penetranti occhi azzurri della modella, riceviamo l'impressione di una ragazza tanto femminile quanto decisa.
Ad agevolare questo incontro, apparentemente fecondo, con il pop è l'uso del computer, come si può notare dall'acconciatura di Fabrizia. La mia è tuttavia un'ipotesi, purtroppo.
Il risultato finale è, a mio parere, efficace.
L'arte contemporanea, non mi vergogno a dirlo, mi risulta quasi completamente indifferente. Soprattutto nel contesto della nostra città. Iride, tuttavia, mi colpisce perché ha delle idee, e questo è molto interesse; ma non solo: ha anche una tecnica che, quando maturerà pienamente in un senso maggiormente personale, darà soddisfazioni enormi a tutti quanti. Si guardi per esempio questa tela in cui sono compendiati  vari motivi, sia fotografici che liberty: l'effetto che se ne trae è di straniamento, quasi surrealista (anche se non credo fosse questa l'intenzione dell'autrice).

Molto spesso capita, o perlomeno pare che capiti, che lo stile dell'artista si leghi indissolubilmente con la sua vita.
Iride, come scrivevo all'inizio, è una surfista appassionata; e come ogni brava sportiva che si rispetti ha un atteggiamento, diretto e privo di artifici. Ama e vive la semplicità e in questo tempo straniante ha trovata la sua dimensione. Almeno apparentemente.

Una tale congiunzione tra pensiero e azione si traduce necessariamente in un compromesso fra le sue passioni, tra cui c'è senz'altro il liberty, e la realtà del nostro XXI secolo, che è il pop.

E questo, a mio avviso, rende la sua arte molto interessante e degna di essere seguita: non parliamo, infatti, di un'artista che copia, ma di una capace di rielaborare e di citare, anche se a un livello ancora molto embrionale, come è naturale che sia, data la sua giovane età.

Un ultimo aspetto che ritengo degno di approfondimento è la sua estrema capacità di adattarsi al design: tutte le immagini che ho mostrate finora, benché siano un timido accenno rispetto al suo corpus principale, rivelano un certo talento più per la decorazione che per l'illustrazione, la quale non esclude comunque la possibilità di disegnare gli esseri umani.
Quest'opera, che non mi sembra tuttavia di design, rivela una certa scioltezza nel trattare il colore e nell'interpretare il dato fotografico: come opere d'arte sulla falsariga della tradizione "da cavalletto" può essere incompleta, ma come ipotetico sotto-pentola o piatto diventa molto affascinante perché l'artista ha reso interessante, e ispirante (visto il sorriso), un oggetto di per sé insignificante.
Possiamo capire meglio il suo talento nel design in questa immagine:


 Gli stilemi del liberty vengono riprodotti molto fedelmente, ma poi subiscono una decontestualizzazione tale da divenire semplici abbellimenti senza alcun significato se non quello di "arte per arte" e nell'insieme l'effetto decorativo è quasi impeccabile, oltreché evidentemente curato con attenzione.
Notevole è inoltre lo sforzo per rendere la calligrafia dell'epoca.
Quest'opera, pur non essendo pubblicitaria, mi colpisce per la capacità di riempire completamente e piacevolmente la superficie della tela e per la modella nel registro inferiore. Il suo sguardo penetrante e pienissimamente consapevole della sua sensualità femminea ci devono far capire che la modella è senz'altro ancora vivente. Notevole l'intreccio di ali di farfalla alla sua destra.
Invito i miei lettori a rivolgere un'ulteriore sguardo al dipinto perché i toni liberty qui sono meno marcati e ancor più forte emerge la pura autorialità di Iride, che rivela dei caratteri tipici come un particolare trattamento dei volti, che non riesco a discernere se sia figlio di una scelta espressionistica o di una negligenza. Lo ammetto.
 Volendo concludere l'intervento, mi sia concesso di trattare questo delizioso dipinto chiamato "La danse de l'amour", ossia "La danza dell'amore": due amanti si baciano in ginocchio sotto a un lampione in abiti antichi; una donna, evidentemente moderna (si guardi al costume da bagno), si libra nell'aria dopo aver saltato; un'altra tiene tra le mani la luna. Al di sotto si estende la città, o così mi pare, avvolta dalle tenebre.
Anche qui siamo di fronte a un'immagine composta, anche qui la sensazione che ci troviamo a provare è di straniamento, anche qui l'artista si concede timidi accenni di surrealismo, anche qui il pop ha il suo buon ruolo.
Di vero pregio è soprattutto la figura femminile in primo piano: si noti la bella articolazione del suo corpo, anche se forse il bacino appare un po' troppo abbreviato, soprattutto nel rappresentare le gambe. La modella è una donna, ma qui è pura fisicità, quasi come se fosse il suo corpo in funzione dell'espressione del salto e non viceversa. E se questo non bastasse, provvedono quei fiori bianchi allungati oltremodo sullo sfondo a enfatizzare, riecheggiandolo, il movimento della giovane modella-bagnante. In un certo qual modo, infatti, la curva della sua schiena riecheggia quella dello stelo dei fiori.

Conclusione.
Se la giovane Iride continuerà a sviluppare la sua tecnica, liberandosi dalle eccessive stilizzazioni, non dimenticando mai la sua predisposizione per il design e maturando un tocco più sensuale e personale, possiamo star certi che la sua, progressivamente, potrebbe diventare un'arte interessante e degna di essere presa davvero in considerazione.
Ma per arrivarci dovrà davvero tanto studiare e lavorare: non perché sia scarsa, ma perché il cammino per diventare un artista completo e "serio" è davvero lungo, soprattutto quando si opera in un campo come il figurativo, ove già è stato detto quasi tutto, e ancor di più quando si lavora nel liberty, che è uno stile legato a una determinata contingenza storica.
Cionondimeno, al momento l'artista è senz'altro da tenere d'occhio e da lodare per la sua originalità e la sua promettente tecnica: spero che ci riservi ancora altre opere.

Spero che sia risultato un intervento interessante e se vi è piaciuto fatemelo sapere: cercherò, dunque, nel tempo libero, tra una sessione e un'altra, altri pittori.

martedì 6 maggio 2014

Cartolina eclettica: l'arte del Concilio Vaticano II.



Bentornati, carissimi amici. Chi vi scrive oggi sottopone alla vostra attenzione un nuovo tipo di intervento: la "cartolina eclettica". Non essendogli possibile, infatti, scrivere interventi troppo lunghi a causa degli impegni universitari, la forma breve per esprimere il suo pensiero risulta la più desiderabile.
L'autore di questo blog sceglie di cominciare con un tema tanto spinoso quanto, apparentemente, irrilevante: le modifiche apportate ai luoghi di culto cattolici dopo l'ultimo concilio, il Vaticano II.

Il presbiterio di San Tommaso Moro.
"Il Concilio Vaticano II è stato il 1789 della Chiesa!" Così affermava con soddisfazione il cardinale Suenens, che di questo Concilio fu uno dei massimi campioni.
Non interessa a noi, tuttavia, discernere se egli affermasse o meno il vero a livello dottrinale. Simili argomenti devono essere lasciati, per onestà, ai teologi.
Ciò che invece può incuriosirci è verificare se questa affermazione abbia o meno una fondatezza a livello materiale, quindi artistico. A tale proposito giunge particolarmente opportuno il presbiterio della chiesa sanlorenzina di San Tommaso Moro.

Osservandolo con occhi quanto più possibile virginei notiamo che nulla c'è di strano: l'altare è a mensa, con i fiori, il presbiterio è collegato agevolmente alla navata, il leggio con il suo telo è presente naturalmente tra la zona dei sacerdoti e quella dei fedeli (chi non ha presente la possibilità, diventata regola, per i laici di leggere l'Epistola di san Paolo?) e dietro c'è il vecchio altare, in secondo piano di nome e di fatto.
Il sospetto inizia a coglierci quando confrontiamo l'edificio con la chiesa di Trinità dei Pellegrini, officiata dalla "tradizionalista" Fraternità Sacerdotale San Pietro.
Notiamo che qui l'altare a mensa manca, il presbiterio è separato e reso formalmente inaccessibile ai laici da una balaustra, usata per ricevere la Santa Eucarestia in ginocchio, non c'è alcun leggio e l'unico altare è decorato molto sontuosamente (è la ricorrenza del Santo Nome di Gesù).
Cosa è accaduto?
Per capirlo giova andare alla chiesa anglicana di San Paolo entro le mura.
Come nella chiesa di San Tommaso Moro notiamo l'assenza della balaustra, l'altare a mensa, la presenza del leggio (qui sono addirittura due!). Anche qui manca il Tabernacolo, che invece a Trinità dei Pellegrini è al centro dell'altare ed è fronteggiato dal sacerdote celebrante: e se c'è (non sono praticissimo di quel luogo di culto) è in totale irrilevanza... del resto gli Anglicani non credono nella Transustanziazione come i cattolici, quindi la necessità di un luogo dove Cristo sia realmente presente è decisamente limitata solo alla High Church, che non a caso è assai prossima a quella cattolica nelle convinzioni e nei riti e ha regalato alla Chiesa Cattolica san John Henry Newman.
Anche qui sono presenti i fiori quali unica decorazione dell'altare.

Ancor più straniante è il confronto con questa stampa, raffigurante una celebrazione in un tempio calvinista. I figli spirituali di Giovanni Calvino negano completamente, a quanto mi risulta, la Transustanziazione e infatti non esiste il Tabernacolo; l'altare è poi una semplice tavola e l'unica rilevanza è data alla tribuna del predicatore e al leggio con la Parola di Dio.

Chiunque, dopo aver visto queste due immagini (ma tante altre ce ne sarebbero!), si domanderebbe con un certo stupore cosa sia successo alla Chiesa cattolica, che da Exurge Domine al 1963 aveva considerato i Protestanti come eretici destinati all'inferno, prendendo da loro le più estreme distanze, come dimostra questo gruppo scultoreo dal Gesù di piazza del Gesù a Roma, raffigurante la Religione cristiana che vince le eresie.
Il Concilio Vaticano II (http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19641121_unitatis-redintegratio_it.html), per la prima volta, aveva impostato come problema grave la riunificazione delle varie confessioni cristiane, proponendo un incontro "a metà strada".
Non a caso, già nel 1965 monsignor Annibale Bugnini, il vescovo padre della Messa in lingua corrente, aveva espresso sull'Osservatore Romano il "desiderio di scartare ogni pietra che potesse costituire anche solo l'ombra di un rischio di inciampo o di dispiacere per i fratelli separati" ("La documentation catholique, n. 1445 (1965), col. 604) dalla liturgia. Per questo motivo quando Paolo VI volle riformare ulteriormente la liturgia, nel 1970, vennero chiamati a collaborare con Bugnini dei teologi protestanti, i quali sembra partecipassero attivamente.

L'innovazione non toccò semplicemente la liturgia: giacché le chiese erano largamente adattate al Concilio di Trento, che le voleva come dei "catechismi in pietra" ed era stato convocato in funzione antiprotestante, occorreva adattarle alla partecipazione attiva del popolo e all'innovazione della concelebrazione, che però c'era dal 1965.
Vennero pertanto rasi al suolo gli altari laterali nelle chiese più moderne o non vi si celebrò più e vennero de facto sconsacrati giacché c'era un'unica concelebrazione (è obbligo del sacerdote celebrare ogni giorno una Messa); con loro vennero meno le balaustre tra presbiterio e navata e l'altare venne distaccato e il vecchio venne o distrutto o abbandonato; il Tabernacolo, infine, rimase o dove era sempre stato, o venne messo a lato dell'altare o venne messo in un'altra cappella, a volte molto lontano dall'altare, o nella cripta.
Nell'affermare questo siamo supportati dall'Ordinamento del Messale Romano del 1970, modificato al 1983, che potete leggere qui:  http://www.maranatha.it/MobileEdition/T01-Ordmessale/b1/5page.htm

A San Tommaso Moro cosa è accaduto? Il Tabernacolo è stato spostato nella cappellina a destra dell'altare, tralasciando la precedente Cappella della Reposizione, ove si spostava al Giovedì Santo.
Probabile Cappella della Reposizione.
La balaustra è stata distrutta è un pezzo è stato salvato per farci l'altare e un altro per fare da supporto a una statua della Vergine nella navata sinistra.

Quando ho sottoposto a un amico frate i miei dubbi su questo stile liturgico, che sono di natura essenzialmente artistica (se un architetto aveva pensato la sua chiesa secondo un certo equilibrio di forme, perché andarle a modificare?), egli mi ha spiegato che l'intento era di porre l'attenzione del fedele esclusivamente sull'azione liturgica. In un certo senso ha ragione: con l'altare rivolto al popolo il sacerdote, se il Tabernacolo fosse rimasto nella sua locazione originale, avrebbe dato le spalle a Gesù in persona e il fedele avrebbe senz'altro smarrito la sua attenzione tra Cristo-nel-Tabernacolo e Cristo-nell'Ostia-della-Messa.

Conclusione.
Al di là delle implicazioni teologiche, che non sono di nostro interesse, gli adeguamenti conciliari risultano particolarmente invasivi e finiscono per mutare profondamente il senso architettonico originale delle chiese, non senza qualche eccesso, come per esempio nel presbiterio della Chiesa di Ognissanti.
Architettonicamente risulta molto difficile poter parlare di continuità con il passato in casi come quello di San Tommaso Moro o di Ognissanti, anche se l'adeguamento liturgico della prima chiesa non è stato poi così estremo: le chiese così rinnovate saranno pure "nobilmente semplici", ma comunicano una sensazione di forte squilibrio proporzionale e spaziale.
Se i teologi si preoccupano delle problematiche legate alle presunte ambiguità dell'ultimo concilio cattolico, noi non possiamo non domandarci come sia possibile che la Chiesa sostenitrice di Michelangelo e Raffaello possa peccare così clamorosamente di cattivo gusto cinquecento anni dopo.

So bene che quanto ho riportato risulta, in mancanza di foto, difficilmente comprensibile e credibile. Mi si conceda allora di citare il caso del presbiterio di Ognissanti sulla via Appia Nuova.
In questa foto osserviamo la prima Messa celebrata in italiano nel 1965, da Paolo VI in persona.
Come avevo già scritto, questa chiesa è un gioiellino neoromanico dell'epoca di san Pio X e quindi la zona presbiterale, come si può notare in questa immagine, rispecchia particolarmente la natura eclettica dell'epoca.
Si noti comunque che il Tabernacolo già è stato tolto e il nuovo altare: anche se la Messa è ancora, formalmente, "tridentina", la separazione tra fedeli e sacerdote è venuta meno, l'altare è a mensa ed è vuoto, in puro legno, così come il leggio, che finalmente appare, in legno pure lui.
Possiamo però notare ancora una certa fastosità "tridentina", giacché i cristiani a Dio hanno sempre tributato solo il meglio, persino san Francesco.
Questa è la chiesa oggi
Tutto quello che c'era prima è stato raso al suolo: al suo posto un altare-mensa in quello che sembra cemento armato, le sedie-trono (notare la foggia "cornuta") per il celebrante e i concelebranti, un leggio a colonna mozzata. Il crocefissino dell'altare del 1965 è ora più grande e sopraelevato.
Alla piacevolezza dei materiali come il travertino, il ferro e la stoffa (e persino il legno) si è sostituita la freddezza del materiale pietroso grigetto e la nobile semplicità ricorda molto di più una nullificazione.
Sono sorpreso che un simile adeguamento sia stato permesso... Mi è stato addirittura raccontato che prima Ognissanti aveva, se ben ricordo, quattordici altari laterali, essendo chiesa di un ordine con tanti consacrati: oggi sono scomparsi e rimane solo il gruppo dell'Addolorata, dono di san Pio X.
Autore di questo adeguamento negli anni Ottanta monsignor Andrea Gemma.

A volte l'innovazione e la futuribilità possono essere buone e lodevoli, ma non dovrebbero mai farsi iconoclaste. E questi adeguamenti liturgici sono veri e propri iconoclasmi. Anche se si è ferocemente progressisti, le opere antiche sono testimonianze del passato e del suo modo di essere: cancellare ciò che era rende fragile ciò che è, come ciò che sarà. E per affermarlo non serve essere cattolici.